A tu per tu con Mario Paradisi
Avellino chiama, il cuore risponde. Al primo squillo. Troppo forte è il legame con i calciatori che hanno fatto la storia della compagine irpina. Qualcun altro se li è ritrovati…senza fatica, su un piatto d’argento. Piccola nota polemica. Duole scriverlo ma ed ultimamente i veleni viaggiano più velocemente delle stesse persone che li generano. Complimenti. Parliamo d’altro, è preferibile. Uno dopo l’altro. Con tenacia, abnegazione e sacrificio. Il nostro. Al cuore non si comanda. Crediamo sia vero. Altri potranno anche imitarci, fa parte del gioco. Inizia un’altra stagione calcistica e noi siamo di nuovo sulle tracce degli ex di lusso. Dopo Gil De Ponti un altro atleta nato nel centro Italia. Un portiere, di quelli bravi. Due stagioni in bianco verde. Quarantasette presenze. Dal 1983 al 1985. Due stagioni, la prima dopo alcune giornate proveniente dal Catanzaro, con rispettive salvezze. Inutile rimarcare che ogni anno in massima serie era uno scudetto per la città e tutti i suoi calorosi tifosi. Mario Paradisi è nato ad Acqualagna, in provincia di Pesaro ed Urbino, nel 1959. E’ arrivato ad Avellino a ventiquattro anni, dopo aver vestito le maglie di Fiorentina, Empoli e Catanzaro. Sapevate che per comprare su Ebay una figurina, usata, di Paradisi dovete tirar fuori almeno due euro ? Lo abbiamo contattato via telefono ed è stato di una disponibilità unica. Aveva degli impegni calcistici e ci ha chiesto di poterlo chiamare più tardi. Presto detto. Lo rintracciamo nel mentre guarda la partita del Napoli con il Villareal. Gli diciamo della figurina e lui ci risponde: “Cosi poco? Eppure nella foto avevo i capelli…” Simpatico appunto, il gigante buono si scioglie ed incomincia a raccontarci del suo passato. Era quello che volevamo. Inizia l’intervista. Partiamo dall’inizio, lei arriva ad Ottobre del 1983, dopo aver giocato alcune partite con il Catanzaro in cadetteria. “Lo sai che non volevo venire ad Avellino ? Io ero sceso di categoria lasciando la Fiorentina per giocare. Davanti a me c’era Galli ed io volevo misurarmi per poter giocare titolare. A Catanzaro giocai tutte le gare dell’inizio di stagione e quando mi dissero che potevo venire da voi, in un primo momento mi rifiutai. All’Avellino c’era Zaninelli e quindi temevo di fare solo panchina. Poi mi andò bene, dopo cinque gare, inizia a giocare e da li filò tutto liscio”. Dopo circa trent’anni, qualche rimpianto ? “Nessuno. Avellino fu il mio trampolino di lancio. Venire a giocare in Irpinia significava molto per i giovani che volevano mettersi in luce. Una occasione che non si poteva perdere”. Avellino in quegli anni cosa significava nel panorama calcistico italiano? “Una oasi felice. La salvezza era una grande vittoria per tutti i tifosi. Ricordo con commozione l’affetto dei sostenitori. Nei loro occhi c’era la voglia di riscatto. Mi fermavano per strada, giovani, mamme e papà. Ci esortavano a dare tutto, a farli vivere quella favola il più possibile. Qualcosa di indescrivibile, era una carica che ci permetteva di sfidare tutti con la convinzione che giocavamo per una intera comunità”. Cosa avevate in più agli altri, come mai eravate sempre all’altezza di qualsiasi sfida ? “Ad Avellino c’era una sinergia unica. Tifosi, giocatori e società. Un tutt’uno e poi chi veniva ad Avellino aveva fame. Tutti sapevano che indossando la maglia bianco verde potevano ambire al grande salto nelle squadre di alta classifica”. Due anni, tante battaglie, ci ricorda qualche aneddoto curioso ? “Mi viene in mente la gara con la Roma. Eravamo sotto di due reti. Allo scadere della gara il grande Tagliaferri segnò da trenta metri. Un boato accompagnò la realizzazione dell’indimenticato Gianpietro. La cosa che mi fa ancora sorridere mi capitò contro il Verona. Con gli scaligeri giocava Bruni, avevamo fatto assieme la primavera della Fiorentina. Ebbene prima della gara gli dissi che avrebbe dovuto fare attenzione, se si fosse impegnato lo avrei fatto bastonare dai miei colleghi in campo. Chiaramente scherzavo, sai bene che in quel periodo tutti temevamo l’ambiente del Partenio. Alla prima azione Bruni salta due avversari e proprio nel cerchio di centrocampo, manco farlo a posta, viene falciato da un mio compagno di squadra. Ricordo che da terra mi cercava con gli occhi, credeva davvero che avessi detto di stenderlo. Io glielo feci credere, ne andava della nostra fama di cattivi. A fine partita, vinta da noi con un gol di Colombo, andammo a cena assieme”.
E’ stato, ultimamente, a Palermo come allenatore dei portieri, adesso ? “Sono in cerca di una squadra”. Magari può tornare ad Avellino ? “Sarebbe una idea affascinante. Tornare in Irpinia sarebbe davvero una bella cosa. Io torno e con me anche la massima serie che ne dici ?”. Ai tifosi avellinesi manca molto la serie A e le grandi sfide di una volta. “Il calcio non è più quello di una volta, io mi auguro che presto possiamo rivedere i lupi in massima serie”. Grazie a Mario Paradisi, il gigante buono. Dopo circa trent’anni gli abbiamo portato un po’ di Avellino e lui ha gradito. Come tutti del resto.