Sullo: "Da ragazzo mi avevano detto che non potevo giocare a calcio. Ad Avellino tornai per prendermi una rivincita"
di Marco Costanza
Salvatore Sullo, ex calciatore, tra le altre, dell'Avellino si è raccontato a Il Posticipo, dove ha ripercorso la sua carriera, la malattia e le difficoltà avute, togliendosi però anche tante soddisfazioni.
Queste le sue parole: "Sono cresciuto a Ponticelli, un quartiere della periferia di Napoli. Giocavo in strada con gli amici. Non esistevano scuole calcio. Ho iniziato in una squadra vicino casa. Mi ha comprato l'Avellino che giocava in A. Ho fatto le giovanili. Non c'erano sportivi in famiglia. Mio padre seguiva il calcio, ma non faceva sport. Lavorava alle Poste".
La rivincita ad Avellino: "Da ragazzo mi avevano detto che non potevo fare il calciatore, quando ero nelle giovanili dell'Avellino. Sono tornato ad Avellino per prendermi una rivincita personale. A 36 anni non ero più il calciatore che ero stato. Non ho giocato tantissimo, ma ho fatto il mio. Abbiamo vinto il campionato all'ultimo minuto in Serie C. Ho chiuso il cerchio alla grande".
Sul numero che lo ha sempre accompagnato, il 41: "Al Pescara era l'unico numero rimasto. Al Messina stavo giocando a carte quando è arrivato il momento di scegliere. Il mio capitano Alessandro Bertoni voleva la 14 per omaggiare sua figlia. Alle mie spalle c'era uno specchio: ho visto riflesso il 41, cioè un 14 rovesciato. Ho preso quello. Dietro il 14 non c'era Johan Cruijff che considero il più grande di tutti i tempi. Ha cambiato il calcio da giocatore e da allenatore. Quando non ero in ritiro, all'inizio degli Anni Novanta, al sabato sera guardavo sempre la partita del Barcellona di Cruijff prima di uscire. C'erano Romario e Michael Laudrup, Txiki Begiristain e José Mari Bakero, pure Hristo Stoichkov. Quella squadra ha lasciato il segno come il Milan di Arrigo Sacchi, l'Ajax di Louis van Gaal e il Barcellona di Pep Guardiola. Mi sedevo sul divano e godevo".
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