Gianpietro Tagliaferri, grandissimo capitano dei Lupi nell'apogeo della serie A, lasciò Avellino nel lontano 1985. Ma per oltre 20 anni non fece che parlare e raccontare di quello splendido segmento del suo vissuto in terra d'Irpinia. Fino a quando un destino infame non lo strappò alla famiglia e agli amici di sempre, a soli 47 anni. Accadde in una fredda sera di novembre del 2006.
Livorno è la sua città, nessuno lo ha dimenticato. Basta poco per avvertire il calore e l'affetto per una persona speciale. Per questa Pasqua siamo andati nella sua terra d'origine, alla ricerca del passato, delle tracce e dei ricordi di un calciatore, e soprattutto di un uomo, impossibile da dimenticare per chi è ancora innamorato dei Lupi e della loro leggenda. Di cui Gianpietro Tagliaferri ha costituito un impareggiabile caposaldo.
Il primo impatto è da brividi. Entriamo allo Stadio Armando Picchi di Livorno, un giro per il campo e poi subito al bar per un caffè. Ci sono tante foto, un archivio impressionante di momenti di calcio. L'occhio, quasi fosse telecomandato, si posa su una in particolare. E'lui! Gianpietro Tagliaferri ha iniziato proprio con la compagine labronica. I primi calci "importanti" con la maglia amaranto e l'esordio in serie C a soli sedici anni. Parliamo con il barista dello stadio livornese, che ci dice: "Pepo era un grande. Un calciatore come pochi, un campione autentico, dentro e fuori dal campo. Non lo dimenticheremo mai. So che voi di Avellino lo avete amato tanto e lui era orgoglioso di aver giocato con la maglia biancoverde". Ed anche noi, gonfi di orgoglio, gli parliamo delle gesta dell'indimenticato centrocampista ai tempi della massima serie.
Il torneo di Pasqua si svolge proprio a Livorno. Destinato ai Giovanissimi '98, quest'anno è giunto alla sesta edizione. E' dedicato alla memoria di Tagliaferri e di Rossano Giampaglia, ex CT della Nazionale U21, anch'egli livornese. Un'occasione per stare vicino ai Lupacchiotti, che abbiamo fortemente voluto a questa importante vetrina internazionale. Ma anche l'irrinunciabile opportunità di conoscere piu' da "vicino" la famiglia Tagliaferri. Se in occasione dell'inaugurazione del Club Avellino dedicato a Gianpietro Tagliaferri (svoltasi ad Altavilla Irpina il 2 settembre del 2010), avemmo modo di fare amicizia con la moglie Monica e con i figli Filippo ed Oliviero, con il nostro viaggio nella sua Livorno, abbiamo familiarizzato (è proprio il caso di dirlo) con la primogenita Sveva Tagliaferri e con la mamma dell'indimenticato Gianpietro, la sig.ra Caterina. Ottima impressione, ma non c'erano dubbi. La mamma di Pepo ama Avellino e gli avellinesi. Quattro giorni passati a parlare di calcio e di lui, il grande assente, ma solo e soltanto fisicamente. Sempre assieme, a pranzo ed a cena. Indescrivibile l'emozione e la commozione che abbiamo avuto. La signora Caterina Tagliaferri rivedeva nei nostri occhi le gesta del suo, unico, adorato figlio. Ci ha raccontato aneddoti curiosi ed assolutamente inediti. Molti dei quali, appartenendo alla sfera dell'intimo, non ci pare sia il caso di mettere su questa pagina.
Il momento più commovente è stato di certo la cena all'arrivo a Livorno. Una pizzeria napoletana, tanto per cambiare: Livornesi da una parte ed Avellinesi dall'altra. In poche parole: allo stesso tavolo c'erano gli amori piu' grandi del povero Pepo. C'era la sua città natale che familiarizzava con quell'adottiva. Oltre al sottoscritto, erano presenti l'ottimo collega Michele Pisani, il presidente del "Club Avellino Tagliaferri" di Altavilla Irpina, Raniero Biancardi ed un rappresentante del C.D., Biagio Mabilia. Accanto alla splendida nipote Sveva (impressionante la somiglianza con il padre), nonna Caterina ci parlava con struggente nostalgia di quel suo figlio calciatore, che, a soli diciassette anni, andò via dalla sua Livorno, per arrivare dove lo avrebbe condotto la sua bravura calcistica (Bologna, Spal, Avellino, Udine, le tappe salienti della sua carriera).
Eccovi un breve stralcio di quanto ha raccontato la mamma di Tagliaferri a noi ed al collega Pisani:
"...il mio Pepo era molto bravo con il pallone. Perchè questo nomignolo, mi chiedete? Risale a quando mio figlio era piccolino, avrà avuto tre o quattro anni. C'era una sua coetanea che non riusciva a pronunciare il nome di battesimo Gianpietro. E lo chiamava appunto Pepo. Lui era molto affezionato a quella bambina e non la correggeva quando lo chiamava in quel modo. Da lì, per tutti noi, Gianpietro divenne Pepo. Intanto la passione per il calcio cresceva sempre di piu' in lui. Era davvero in gamba il mio giovanottino. Pensate che a sedici anni giocava e si faceva rispettare dai piu' grandi. Aveva fatto tutta la trafila nelle giovanili del Livorno. Un giorno l'allenatore della prima squadra, che allora militava in serie C, lo vide in un allenamento e subito decise che Pepo fosse aggregato al gruppo dei grandi, dei professionisti. Fece qualche partita con i titolari e fu adocchiato da un dirigente del Bologna che giocava in serie A. Cosi mio figlio, appena 17enne dovette abbandonare la sua città per inseguire il sogno di diventare un campione. Nel capoluogo emiliano non ebbe moltissimo spazio, e la società bolognese lo mandò in serie B alla Spal, dove riuscì a giocare con continuità. Aveva appena 22 anni quando ci disse che era stato acquistato dall'Avellino. Io francamente ero un po' perplessa perchè era la prima volta che il mio Pepo andava al Sud, cosi lontano da casa. Ma già dai primi mesi, mio figlio mi telefonava e mi raccontava della grande bontà e del forte attaccamento della gente irpina alla squadra biancoverde ed a lui in particolare. Pepo era orgoglioso di giocare titolare nella serie A e di sfidare i grandi campioni come Platini, Maradona, Zico. Non potete immaginare la sua grande soddisfazione quando gli dissero che sarebbe diventato il capitano dell'Avellino. Per Pepo la vostra città era diventata anche sua, e la maglia biancoverde se la sentiva cucita addosso, come una seconda pelle. Spesso ci raccontava della grande umanità del presidente Antonio Sibilia. Anche dopo che smise con il calcio e si dedicò all'azienda di famiglia nonostante fosse stato anche in altre città come Udine, mi diceva sempre dell'ineguagliabile calore umano che aveva trovato nella gente d'Irpinia. Io sono grata a voi tutti, a tutta la vostra gente per i quattro meravigliosi anni che avete fatto vivere al mio Pepo. Ditelo agli avellinesi: mio figlio aveva lasciato il cuore nella vostra città. Ed anche un pezzetto del nostro appartiene a voi tutti”.
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