Guido Ugolotti, ex attaccante ed ora allenatore, ai microfoni di Radio Punto Nuovo, ha ricordato il 23 novembre 1980, lui che in quella gara con l'Ascoli, realizzò una doppietta in quella vittoria dell'Avellino che poi si sarebbe rivelata il simbolo, uno dei ricordi della tragedia.
Queste le sue parole: "Dalla gioia della mia prima doppietta alla tragedia. Fu un anno incredibile per me. Avevo sempre giocato a Roma, in estate mi chiamò l'Avellino, io ero entusiasta, magari di giocare con continuità. Ad agosto mi ero anche sposato, quindi con mia moglie ci ritrovammo subito catapultati insieme nella bellissima realtà irpina. Ci piaceva vivere lì, tranquilli, sereni, in pace. Iniziai con qualche difficoltà la mia esperienza ad Avellino, giocavo solo qualche spezzone di partita. Partimmo con quel -5, era una impresa difficile salvarsi, e poi arrivò quel 23 novembre 1980. Iniziai per la prima volta da titolare, segnai due gol, una giornata stupenda, ero pronto per festeggiare con mia moglie e qualche amico la sera".
Il terremoto: "Fu un dramma. Eravamo in una pizzeria, ero con degli amici che festeggiavamo quella vittoria sull'Ascoli e stavamo vedendo Juve-Inter. Ad un tratto successe quello che sappiamo. Scappammo in fretta e furia, gente che spaccava le porte del locale e ci riversammo nel viale di Mercogliano. Abbracciai mia moglie mentre intorno tutto tremava e la gente si riversava nei campi per mettersi in rifugio. Pensammo, è finita. Quei 90 secondi interminabili pensammo a tutto, ci dichiarammo il nostro amore per sempre, mentre saltò la luce, la gente intorno urlava. Poi finì tutto e quando capimmo che eravamo sopravvissuti andammo in giro a cercare gli amici, provai a chiamare qualche compagno di squadra, provammo a capire chi si era salvato e chi meno. Tornammo a Roma, il lunedì vedemmo dai TG il dramma e pensammo di essere lì, di essere scappati da quell'inferno. Quando poi tornai il martedì ad Avellino per il ritiro (mia moglie restò a Roma), vidi con gli occhi la catastrofe e non c'erano parole. Strade distrutte, case cadute, gente che piangeva, chi scavava. Pensi alla tua vita e ti ritieni fortunato".
La ripresa: "Tornammo a giocare, la prima giocammo a Pistoia, poi con l'Udinese, una gara rocambolesca, poi due gare al San Paolo di Napoli dove vincemmo con il Catanzaro e facemmo 1-1 con la Juventus. La salvezza alla fine potevamo ottenere solo noi. Solo quella squadra avrebbe potuto farcela. I tifosi ci diedero una mano incredibile. Fu una stagione pazzesca, anche perchè partimmo da -5, poi il terremoto, poi gli infortuni, io mi feci male, Carnevale si fece male, Juary pure. Insomma, eravamo destinati a scendere, quella salvezza va fatta vedere alle scuole, far capire ai bambini come reagire quando sembra che il mondo ti crolli addosso, Ora siamo degli eroi per quella gente e Avellino non lo dimenticherò mai. Salvarsi quell'anno fu come vincere un campionato e potevamo farlo solo ad Avellino".
Ci chiamavano terremotati: "Era brutto, si sentiva, ci mettevamo nei panni del nostro popolo e non potevamo accettare quegli insulti, perchè avevamo visto sulla nostra pelle quello che era successo. Mi accodo a Juary e Tacconi, quando ci chiamavano terremotati ci davano quella grinta in più per salvarci".
Sul Covid: "La Serie C è destinata senza aiuti a vedere la fine di tanti club. Leggevo che alcune squadre di Serie A hanno difficltà, figuriamoci in Lega Pro. Io sono convinto che dopo Natale 5-6 squadre avranno difficoltà ad andare avanti".
L'Avellino di oggi: "E' in un girone di ferro, c'è la Ternana che scappa, il Bari che non molla, non sarà facile vincere. Hanno però un allenatore come Braglia che è un combattente e un grande lavoratore che io stimo molto e che sa fare miracoli, vedi il Cosenza, quando partì male e poi li portò alla vittoria dei playoff. C'è bisogno di tempo. L'importante quest'anno era dare una solidità economica alla società, dopo le difficoltà dell'anno scorso e poi ripartire con un progetto longevo".
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