Nando De Napoli è stato l'ospite di giornata del talk di YSport. Ha ricordato i suoi anni all'Avellino e quelli con il Napoli di Maradona, fino alla nazionale azzurra ai mondiali del 1986 e del 1990: "Giocavo in mezzo alla strada a Chiusano San Domenico, Gino Corrado mi vide lì la prima volta. Nel campetto del paese non si poteva giocare, si rischiavano infortuni. Da lì andai a giocare nella Mirge di Mercogliano, poi Sibilia parlò con mio padre, che gli disse subito sì e mi fece prendere nell'Avellino. Mi allenavo a Mercogliano con la Primavera, ero in camera con Carmine Amato.
La gioia che non dimenticherò mai è l'aver giocato il mondiale del 1986 da calciatore dell'Avellino. In quegli anni ho giocato con grandi calciatori del calibro di Diaz, Barbadillo, Colomba, Colombo, Di Somma. Giocare nella squadra della tua città e salvarti per tre stagioni di fila è una gioia immensa. Giocare nella tua città e per il tuo pubblico significa dare qualcosa in più e me ne sono reso conto a Napoli, quando ho giocato con calciatori napoletani come Ferrara. Cosa pensavo prima di partire per il Messico? Che avrei giocato con la Nazionale campione del mondo in carica da calciatore dell'Avellino. Ero emozionato, ho giocato con gente come Scirea, Paolo Rossi, Tardelli, Bruno Conti, allenato da Bearzot, Cesare Maldini faceva il vice allenatore. A volte mi prendo a schiaffi perché non me ne rendo ancora conto di quello che mi è accaduto.
Il settore giovanile dell'Avellino era composto da gente competente, tecnici e osservatori che vedevano partite su partite. Mi ricordo che avevamo un ottimo settore giovanile, c'ero io, Marulla, Maiellaro, Pecoraro, Cervone ed eravamo guidati da allenatori come Caramanno e Falco e questo mi ha aiutato molto. A 17 anni sono andato al Rimini guidato da Sacchi e poi Sibilia mi rivolle ad Avellino. Provai tanta emozione, all'inizio non ero molto considerato, ero giovanissimo. Ebbi la fortuna che cambiammo allenatore, arrivò Bianchi, mi vide in allenamento e mi fece esordire con la Roma all'Olimpico. Perdemmo 3-2 in rimonta, segnò Maldera, ma è una partita che non dimenticherò mai. Debuttare nella squadra della mia città contro un avversario come Falcao. Bianchi è stata una persona importante, un uomo straordinario, devo tanto a lui. Da calciatore giocava nel mio stesso ruolo, forse gli sono piaciuto per questo.
Bianchi mi ha sempre fatto marcare i numeri dieci avversari, tipo Platini, Boniek e Beccalossi. Chi mi ha fatto penare di più è stato l'irlandese Brady. Il compagno di squadra preferito? Ce ne sono stati tanti, Giannini e Berti per esempio. Donadoni era un fenomeno, anche se era più un esterno. Ho avuto l'onore di giocare con centrocampisti molto forti.
Diaz vedeva sempre la porta, giocatore formidabile, come Barbadillo. Potevano giocare nelle squadre più forti d'Italia, inventavano calcio, dribblavano, segnavano. Erano fortissimi. Il soprannome Rambo? Forse perché ero sempre pieno di fango, perché il campo ad Avellino era pesante anche in estate. Il mio momento più brutto da calciatore dell'Avellino? Quando sono stato ceduto, la società aveva bisogno di soldi. Ma ho ottimi ricordi di quegli anni, un pubblico eccezionale, vincevano in pochi ad Avellino.
Quando ho lasciato l'Avellino avevo quattro possibilità. Mi chiamarono a casa, Liedholm della Roma, Vialli della Sampdoria, l'avvocato Agnelli per portarmi alla Juventus e il direttore Marino. Ho scelto Napoli per restare vicino casa, poi ho conosciuto Maradona, che era un fuoriclasse come calciatore, ma anche come persona. Molti lo giudicano male, ma è una persona buona, leale e sincera. Ho giocato con lui sei anni e mi ha fatto piacere conoscerlo.
Sono a Reggio Emilia e questa è una delle zone più colpita dal Coronavirus. Siamo chiusi in casa da oltre 40 giorni, ma lentamente qualcuno è tornato a lavorare. Vivo qui da 20 anni, mi hanno detto più volte di tornare all'Avellino verso la fine della mia carriera, ma al Milan mi feci male al ginocchio. L'Avellino resterà sempre nel mio cuore, mi ha dato la possibilità di girare il mondo. Magari senza l'Avellino avrei fatto il barista nel bar di mio padre. Ero tifosissimo dell'Avellino, ero sul treno verde per Torino quando pareggiammo 3-3 contro la Juventus.
Garofalo, Evangelista e Parisi? Mi fa piacere che tre irpini giochino nell'Avellino, quest'esperienza deve aiutarli e dargli una grande forza. Gli auguro la mia carriera, tanta fortuna a tutti e tre.
Perché non ho fatto l'allenatore? Mi sono reso conto che non sono portato, non ci ho mai pensato. Bisogna anche cambiare carattere, diventare più duro. E questo non sono io".
Autore: redazione TuttoAvellino / Twitter: @tuttoavellinoit
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