E' un Avellino normale, come diceva Graziani. Sono trascorsi circa 3/4 di campionato e mentre tutti gli addetti ai lavori aspettano ancora che l'Avellino si prenda il primo posto e domini il girone guardando tutti dall'alto in basso, la realtà sembra ormai definita. L'Avellino non dominerà il campionato, probabilmente numeri alla mano potrà ancora raggiungere il primo posto, ma dimentichiamoci di stravincere solo perché ci chiamiamo Avellino e l'anno scorso eravamo in serie B. Tutti, da giornalisti a direttori sportivi e allenatori delle altre compagini di D, avevano visto all'Avellino caduto tra i dilettanti la classica "balena in un acquario", ma poi in campo vanno i calciatori e le partite vanno giocate sul terreno verde. Terreno verde che non ha mai visto, a parte alcune sporadiche partite, una squadra nettamente superiore alle altre, capace di fare un sol boccone di tutte le altre pretendenti, ma anzi una squadra al pari, se non al di sotto come purtroppo si è visto nelle sette sconfitte maturate fin qui, delle altre. L'Avellino è una squadra di serie D, non ci sono piu' i calciatori che l'anno scorso calcavano il campionato cadetto, di Avellino è rimasto solo il nome che magari incute timore, sprona gli avversari a dare tutto, ma da solo non dà calci a un pallone. Anzi probabilmente nella testa di qualcuno, come ha piu' volte ribadito piu' di qualche esperto, si è forse insinuata l'impressione che si sarebbe vinto in automatico, giocando sotto gamba diverse gare finite poi male.
L'aspetto psicologico è stato forse il piu' importante in questo campionato, quante volte abbiamo sentito dirigenti altrui commentare, il giorno dopo, di aver visto un Avellino "che si guardava troppo allo specchio"? In serie D si gioca con i muscoli, l'ardore e la fame, certo anche la tecnica fa la sua ma senza i primi elementi non basta. E l'Avellino sta pagando lo scotto, pur avendo obiettivamente una rosa di prim'ordine per la categoria. Soprattutto fuori casa, dove sono arrivate 6 delle 7 sconfitte totali, come se la scossa che il Partenio può dare non fosse avvertita lontano dalle mura amiche. Un aspetto psicologico che, unito evidentemente anche a qualche limite tecnico, fa sì che ogni domenica l'Avellino giochi come un "Latte Dolce" o un "Aprilia" qualunque, con tutto il rispetto per queste società, nel senso che non denota in campo niente di piu' rispetto alle altre protagoniste del torneo. Che difatti si stanno comportando, come nel caso delle prime della classe, anche meglio dell'Avellino.
Non sappiamo come finirà questo campionato, se l'Avellino riuscirà a raggiungere il primo posto (ma se continua a perdere occasioni come quella di ieri sarà dura) o se verrà ripescato visti i terremoti di serie C, ma di fatto se ogni domenica ascoltiamo le dichiarazioni degli avversari che si aspettano un Avellino travolgente, per poi gioire a fine partita per uno o tre punti portati a casa, forse è il caso di rivedere le impressioni sul ruolo che la squadra può recitare in campionato. Non è questo che si aspettavano i tifosi biancoverdi alla vigilia, non è questo che si aspettava il patron De Cesare che ha comunque allestito una discreta squadra, che è comunque quarta, nel poco tempo avuto a disposizione. E che solo una settimana fa è andata a vincere in casa del Lanusei, ricordiamocelo. Magari ha avuto fortuna, ma almeno ha dimostrato che quando vuole può giocare da Avellino.
L'Avellino deve scrollarsi di dosso la storia, diceva Graziani, e ripartire da zero. Aveva ragione, qualcuno l'ha interpretato male, come dover rinnegare la propria storia. Al contrario, l'allenatore suggeriva di non cullarsi sugli allori ma fare i conti con la dura realtà, e aveva ragione. Dimentichiamo quindi i proclami di gloria e le presunzioni di superiorità e speriamo che, a dieci partite dalla fine, i ragazzi si calino finalmente nella realtà della D, un campionato duro che non fa sconti a nessuno e che può essere vinto solo dando l'anima in campo. Le parole, infatti, se le porta il vento.
Autore: Domenico Fabbricini / Twitter: @Dfabbricini
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